PARTITE IVA: AUMENTA IL POPOLO DEGLI ESCLUSI, IL 22,4 PER CENTO VIVE SOTTO LA SOGLIA DI POVERTA’
Il rischio di povertà è del 6% più alto per le famiglie il cui reddito principale proviene da lavoro indipendente
Fino ad una decina di anni fa aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol. L’immaginario collettivo collocava questo neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente”.
E’ una ricerca di Federcontribuenti a suonare il campanello d’allarme proponendo dati e numeri su una categoria da sempre nell’occhio del ciclone.Negli ultimi tre anni, il numero di partite IVA attive nel nostro Paese si è ridotto di oltre il 40%, passando da più di 8, milioni a poco più di 5 milioni nell’arco di appena un triennio. Un rischio povertà maggiore di quello a cui è esposto un pensionato o un lavoratore dipendente che già vivono con un stipendio o una pensione da fame.E l’effetto della crisi indotta e permanente ha colpito soprattutto il ceto medio, nel 2015 il 25,8% dei nuclei familiari di questa categoria si è ritrovato stentatamente al di sotto della soglia di rischio povertà calcolata dall’Istat.Pagano i contributi INPS più che le tasse: Un lavoratore autonomo che fattura 20.000 euro in un anno, ha come reddito netto solo 14.000 euro, poiché paga, fra tasse e contributi INPS, circa 6000 euro all’anno, su mille euro guadagnati da un autonomo gli resteranno in tasca 600 euro.
Parliamo di un proletariato a tutti gli effetti che non ha diritto alle tutele e versa contributi per una pensione, ma rischia di non averla mai.
Gli autonomi gettano la spugna
A distanza di 30 mesi dall’avvento della pandemia, in Italia c’è stato un recupero del numero degli occupati nel contempo molti autonomi hanno chiuso l’attività. Se tra il febbraio 2020 (mese precedente l’arrivodel Covid) e lo scorso mese di agosto (ultimo dato reso disponibile dall’Istat) abbiamo 56 mila occupati in più, le due componenti che costituiscono l’intero stock (lavoratori dipendenti e autonomi) presentano, invece, risultati di segno opposto. Il numero dei lavoratori autonomi, infatti, è sceso di 155 mila unità.Se prima della pandemia erano poco meno di 5,2 milioni, ad agosto si sono attestati a poco più di 5 milioni. Il numero dei dipendenti, invece, è aumentato di 211 mila unità. Prima della pandemia ne avevamopoco più di 17,8 milioni, quest’estate il numero è salito a poco più di 18 milioni.
La partita IVA oggi: da status symbol a ripiego
Per gli imprenditori individuali c’è un aspetto poi da considerare: a differenza dei lavoratori subordinati, quando chiudono l’attività non hanno nessun sostegno al reddito.
Non solo: per loro non è facile trovare un altro impiego, il che è dovuto spesso all’età non giovanissima di chi si mette in proprio e ci resta per anni, ma anche al fatto che, le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo a volte queste persone verso il lavoro in nero.
E se fino a una decina di anni fa aprire una partita IVA era uno status symbol, oggi per un giovane spesso è un ripiego, o nei casi peggiori una costrizione da parte di un committente che non vuole fare un contratto. Che agisce così per risparmiare sui contributi, sull’assicurazione, sui benefit, ma nonostante questo chiede al freelance la stessa disponibilità e abnegazione di un dipendente.
Restando nell’ambito di chi invece è appena entrato nel mondo dei lavoratori autonomi, l’Osservatorio delle Partite IVA del ministero dell’Economia e delle Finanze ci dice che sono 94.080 quelle aperte nel terzo trimestre del 2022.
Di queste, il 69,7% è costituito da persone fisiche, il 21,8% da società di capitali, il 2,8% da società di persone. Si può vedere come la maggioranza sia composta quindi da imprenditori individuali, ma emerge anche un altro dato: rispetto al terzo trimestre del 2021, c’è un calo generalizzato. Nel caso delle partite IVA aperte da persone fisiche, dell’8%.
Partite IVA, indipendenti vuol dire soli?
Secondo l’indagine campionaria dell’ISTAT relativa al 2021, la percentuale di famiglie con reddito principale da lavoro dipendente a rischio povertà o esclusione sociale è del 18,4%. Quando invece il reddito principale viene dal lavoro autonomo (partita IVA), si innalza al 24%.
A parlare sono i dati pubblicati dalla L’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIA sempre su dati ISTAT, che testimoniano come il “popolo delle partite IVA” in cui si inseriscono artigiani, liberi professionisti ma anche commercianti, abbia più difficoltà economiche dei lavoratori dipendenti.
Secondo l’indagine campionaria dell’ISTAT relativa al 2021, la percentuale di famiglie con reddito principale da lavoro dipendente a rischio povertà o esclusione sociale è del 18,4%. Quando invece il reddito principale viene dal lavoro autonomo (partita IVA), si innalza al 24%.Certo, il rischio imprenditoriale fa parte di questa esperienza, ma a differenza dei lavoratori subordinati, quando un autonomo chiude definitivamente l’attività non dispone praticamente di alcuna misura disostegno al reddito.
Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone, un tempo appartenenti alla categoria dei piccoli imprenditori, verso forme di lavoro completamente in nero.